CONGEDO DI PATERNITA’
Viene prorogata al 2016 la nuova disciplina del congedo di paternità, elevando da uno a due giorni quello obbligatorio.
LEGGE 28 dicembre 2015, n. 208
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016).
(GU n.302 del 30-12-2015 - Suppl. Ordinario n. 70)
205. Il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, nonché il congedo facoltativo da utilizzare nello stesso periodo, in alternativa alla madre che si trovi in astensione obbligatoria, previsti in via sperimentale per gli anni 2013, 2014 e 2015 dall'articolo 4, comma 24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n.92, sono prorogati sperimentalmente per l'anno 2016 ed il congedo obbligatorio e' aumentato a due giorni, che possono essere goduti anche in via non continuativa.
a cura di Marco Perelli Ercolini
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Congedo di paternità, è liberale l’obbligo sostenuto da Tito Boeri?
L'intervento di Michele Poerio, segretario generale Confedir e Presidente Nazionale Feder.s.p.ev.
Si è tenuta qualche settimana fa a Milano, organizzata dal forum italiano del lavoro femminile, “Elle active”, una tre giorni di incontri e formazione. E Tito Boeri, il presidente dell’Inps, ha sostenuto con decisione il congedo di paternità “obbligatorio” ritenendolo fondamentale in quanto “nel nostro Paese fare figli penalizza la carriera delle donne” (non penso, però, che 15 giorni di congedo forzoso, a parte la spesa, possano risolvere questo annoso problema). Infatti il disegno di legge sulla paternità obbligatoria, presentato dalla senatrice Fedeli ed altri, introduce 15 giorni di paternità obbligatoria da prendere nel primo mese di vita del neonato, prevedendo anche sanzioni per chi non lo rispetta.
Molto sommessamente chiedo al professor Boeri: “Ma se non voglio fare il “mammo” e la madre dei miei figli è d’accordo, cosa mi succede? Ricevo un avviso di garanzia? Sarò controllato dai carabinieri per come svolgo la funzione di ‘mammo’?”.
Emma Bonino, presente ai lavori, ha polemizzato con il bocconiano ritenendo eccessiva “l’obbligatorietà” perché interviene profondamente nelle scelte individuali della coppia, alla quale va lasciata ogni decisione, senza imposizioni esterne.
In Italia la percentuale delle donne che lavorano è del 65% e diminuisce al 50% con 1 figlio ed al 40% con più figli. In altri Paesi, invece, la differenza è minima. Si tratta di un problema squisitamente culturale, determinato soprattutto dalla idea (sbagliata) che hanno numerosi datori di lavoro che ravvisano come più costoso il lavoro delle donne e dalla vulgata secondo cui le donne che lavorano sono spesso considerate cattive madri.
Nulla di più sbagliato! Così come è, a mio parere, profondamente sbagliata l’idea di Boeri & c. che chiedono addirittura di prevedere tale norma nella prossima finanziaria. Personalmente ritengo che le scelte dopo la nascita di un figlio rientrino nella individuale libertà di ogni singola coppia.
Obbligare per legge uomini e donne a essere uguali è tipico di uno Stato etico, di cui, soprattutto in questo particolare momento storico, non sentiamo proprio alcuna necessità. L’apodittica affermazione del bocconiano Boeri “l’Italia ha bisogno di uno choc. Va spezzato con delle scelte obbligate il circolo vizioso tra datori di lavoro e cultura familiare riguardo il ruolo delle donne”, subito seguita dall’altrettanto apodittica affermazione del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, secondo cui “alle donne vanno dati più posti di comando”, sono smentite da un interessante studio di Mckinsey intitolato “Women in the workplace”che esamina la situazione americana per aiutare le aziende a mettere in campo le misure necessarie a promuovere il talento e le conseguenti carriere femminili.
La ricerca ha analizzato i dati di 132 multinazionali americane e coinvolto 34 mila impiegati di entrambi i sessi. Nonostante si parli di una realtà avanzata dove le donne non subiscono condizionamenti da attività domestiche di alcun genere, i ricercatori hanno rilevato che “ad ogni livello le donne sono meno interessate a diventare top executive e chi ne ha la volontà è meno convinta degli uomini di potercela fare”.
Sempre secondo questo lavoro alla base del mancato raggiungimento dei vertici aziendali da parte delle donne c’è anche una particolare scelta del percorso di carriera. Le donne preferiscono le cosiddette “funzioni di staff” ovvero di supporto all’attività aziendale come il settore legale, le risorse umane o l’information technology, piuttosto che le funzioni in cui si è responsabili di settori economici o di un business (che sono la via maestra per arrivare al top management).
Ribadisco, quindi, che obbligare per legge uomini e donne ad essere uguali, oltre che essere innaturale, mina soprattutto libertà individuali fondamentali.
Suvvia Signori! La parità di genere in campo lavorativo necessita di altre innovazioni, anche legislative, ben più incisive di questo “pannicello caldo” che è il Ddl Fedeli.
Per fortuna il progetto di inserire questa norma nella prossima legge di bilancio è stato bloccato, sicuramente per motivazioni economiche (gli attuali due giorni di permesso costano oltre 50 milioni annui) e probabilmente il congedo paterno sarà aumentato solo di qualche giorno (5 giorni?).
Invece di occuparsi di “mammi” e di proporre irrealistiche riforme previdenziali gli unici compiti del prof. Boeri sono quelli di rendere efficiente l’Inps, il più grande ente previdenziale europeo, di definire la vera mission dell’istituto che è quella di amministrare con trasparenza i versamenti dei lavoratori e dei datori di lavoro e non destinarli ad altre operazioni quali, ad esempio, liquidare pensioni sociali che non hanno mai versato un centesimo di contributo, oppure occuparsi della cassa integrazione sottraendo fondi alla previdenza la quale deve essere nettamente separata dall’assistenza che deve essere completamente a carico della fiscalità generale.
PUBBLICATO SU FORMICHE.IT DEL 17/11/2016